Chi visita il Museo dell’Olio rimane ammirato della tecnologia degli inizi del novecento e di come si estraesse il prezioso olio. Il duro lavoro dell’uomo era stato sostituito da macchine che, in parte, ne alleviavano le più dure fatiche.
In un angolo, quasi nascosto del museo c’è il motore elettrico originale, che dava il movimento a tutte le macchine. E’ un piccolo gioiello di archeologia industriale, ma ancora più interessanti sono le apparecchiature elettriche per azionarlo.
L’interruttore manuale a leva, il reostato di avviamento, i fili di alimentazione di rame nudo, tutti non protetti, testimoniano un mondo in cui la sicurezza sul lavoro non era considerata. Nessuno si preoccupava di proteggere gli operatori da eventuali errori di manovra o altri inconvenienti. Bastava toccare inavvertitamente uno dei fili o le parti metalliche sotto tensione per rimanere fulminati in modo letale.
Anche il sistema di trasmissione del moto con cinghie in cuoio e pulegge non aveva alcun carter di protezione e veniva manovrato con leve manuali. Frequenti erano le rotture che provocavano sonore e pericolose ‘frustate’ della cinghia. Veniva riparata con un giunto a denti metallici, sempre l’elemento debole per le rotture.
Oggi tutto questo sarebbe impensabile. La sicurezza sul lavoro è uno dei settori in cui la tecnologia ha avuto maggior sviluppo. La realizzazione di impianti “a prova di stupido” è diventata non solo regola etica, ma legge penale.
Far lavorare un operaio in quel modo, oggi, sarebbe considerato come un tentato omicidio.
Eppure allora il frantoio era considerato quasi come un salotto, dove si poteva stare al caldo, fare conversazione e assaggiare una bruschetta con l’olio nuovo; qualcuno poi tirava fuori il fiasco del vino. Anche quello oggi è proibito sui luoghi di lavoro.
Dalla rubrica “Seggiano Curiosa”
a cura della Fondazione Le Radici di Seggiano (visita il sito)